Fra i sassi, mi cerco e mi trovo in un pertugio, del colore della pietra, levigata, rannicchiato ad aspettare un abbraccio, un gesto, una parola buona. Di là, la gravina, e l’ignoto. Scuri e chiari di luce, ombre e bagliori. La penna s’inceppa, come la lingua per l’anima fra i denti. Gli sguardi, troppi, ognuno colpisce, rapisce, denuda, ti sa. La penna si muove. In balbuzie, frammenti. Prima di liberarsi nel flusso limpido che chiede foce.
Il teatro e i luoghi. Il teatro nei luoghi. I luoghi del teatro. Il teatro fa i luoghi e i luoghi tramutano in scena, e per le strade. Dove gente guarda le scene e si guarda l’un l’altro. E per le scene entra in contatto, scambia, dissente, s’ama.
Sono luoghi spopolati dalla fuga. Qui. Di un Sud alimentato dalla pietra… Delle classi di scuole superiori, mi dice Vania Cauzillo (altra anima e colonna portante del festival Nessuno Resti Fuori) tre su 30 restano, dopo il diploma. E qui chi resta cerca di fuggire dalla morsa dell’immobilismo, come immobile e eterna e salda è la pietra.
La fuga, traccia tematica su cui indagare per trasposizioni in scena. Collettive e intimiste. Ricerca etica e semiotica delle compagnie “L’Albero” di Melfi e “IAC” di Matera, in scena con ESCAPE (L’Albero) e STUDIO PER UNA FUGA (IAC). Diversi approcci stilistici e di speculazione scenica su un tema comune. Una comune strada biforcata prima della meta. Degli studi, ancora, non allestimenti compiuti.
E dello studio hanno la pelle nuda esposta e imperfetta, da darsi in pasto al giudizio collettivo e non esperto, per smussare durezze, comporre grammatiche ancora ampollose, puntellare la manifattura.
Un lavoro, STUDIO PER UNA FUGA, d’attore, di attori autori, armonizzati dall’occhio registico indipendente dal dare impronta, dal dare indirizzi. Il concetto e l’assimilazione morale della fuga divenuto, sul palco, per atto psichico, per linguaggio fisico, per parola e gesto. E la figura iconografica collettiva, a oggettivare drammatizzando. L’uso di materiale quotidiano a segnalare l’ampiezza della mutevolezza, di ciò che in scena appare e significa altro e di ciò che umano muta, interiore ed esteriore. La mescolanza di attori professionisti a non professionisti, restituisce una verisimiglianza attraente.
In ESCAPE, è l’intimismo a trasportare il senso etico e il formalismo estetico. Quattro attori, quattro individualità, un sentire comune, tracce da fiutare, anime sgualcite, in geometrie e movimenti lentissimi alternati ad azioni verbali e di conflitto fisico a materializzare l’urgenza di definire e il buio dell’incertezza, il buio del disagio. Più presente in questo studio l’orma registica, la visione a monte lasciata al creativo sembiante degli attori, ma ‘mossa’ da un disegno chiaro di direzione. Il prosaico quotidiano duella con il lirismo della poetica iconografica. Immagine e immaginazione. Parola e silenzio. D’un linguaggio scandito.
E ritorno tra i sassi. A cercarmi ancora. E trovarmi sotto una lanterna. Tremolante. Ubriaca.