E’ la social age. Avatar, anziché persone. Contatti virtuali, interazioni schermate, passanti in smartphone e un’insensata smania di farsi pubblici. Ricevere “like” per compiacersi e un recinto comodo di amicizie a distanza per crogiolarsi in un artificiale paradiso consensuale.
Ci sono se posto. Ci sono se chatto, se prendo parte alla democrazia cibernetica e popolare. Se dico la mia a tutti i costi.
Ma Nessuno Resti Fuori dalla strada. Nessuno Resti Fuori dal contatto. Nessuno Resti Fuori dagli sguardi. Dalla parola per bocca. Dalla mano che cerca e trova un’altra mano. Il teatro a renderlo possibile.
Gaetano Crivaro e Margherita Pisano sono due video maker. Calabrese lui, di Cutro, Sarda lei. Ci accomuna un’affinità di sguardo a cogliere ciò che chiaro non appare. Con Gaetano, poi, siamo complici, figli d’una terra portata in corpo e in spirito da sentire dentro, come un incendio ardente, e da cui stare necessariamente lontani. Mi racconta un vecchio detto: un giorno appare Dio a un calabrese proponendo di esaudirgli qualsiasi desiderio che sarà raddoppiato al suo vicino. Il calabrese risponde “cavami un occhio”…
Ce lo diciamo riflettendo sui vizi di un luogo ineguagliabile per bellezza, risorse, genuinità e ingegni. E gente di cuore ma di rispetto. E sorridiamo.
I loro video ritratti realizzati in diverse locazioni di un Sud ad un altro tempo di velocità (Sicilia, Calabria, Sardegna, Basilicata) vengono proiettati a Matera, sul muro del campanile della chiesa di S.Pietro Barisano. Un rione dei sassi. Siamo un centinaio. Silenziosi e sazi, di immagini narrate dal contemplativo su scenari definiti e invisibili. Volti, luoghi di carne d’un intera memoria sociale e personale. Scavati da rughe, dipinti da un sorriso accennato e occhi gravidi, espressione di durezze, slanci, eroismi, resistenze. Ricordano Ciprì e Maresco, e i fondali richiamano una poetica del visivo cara ai cineasti iconografici, allo spazio soggetto immobile e non riduttivo ambiente di collocazione. Anafore visive per analogie di significato diversificato. Una pienezza sensoriale a smuovere vicinanze e solidarietà tramite il visto. Una cura deliziosa della fotografia, l’uso del bianco e nero a suggerire connotazioni, e l’immagine sovrapposta al reale, al tempo pubblico, al consegnarsi allo spettatore tramite il diretto dell’occhio di camera.
E un Sud non di cartolina, ma indigeno, atavico, originario. Di cui si può godere e meravigliarsi delle somiglianze. Dei tratti comuni, del popolare assoggettato alla terra e ai governanti astratti.
Una meraviglia per gli occhi e il cuore. Commovente.
Di Locri, l’Achea Epizefiri, è originario Daniele Ninarello. Danzatore e performer torinese d’adozione, ma mediterraneo per fisionomia e poetica. Conduce nei giorni di festival, ri-dimensionamento pubblico e civico d’un territorio modificato dall’attrazione culturale, un laboratorio con 30 allievi il cui corpo è architettura carnale relativa allo spazio. Lo sbirciare sulle prove, è induzione al concetto cavernoso di corpo umano e sociale. Un corpo destrutturato e materia nervosa di inserimento spaziale. Poesia visiva, l’immediato e istintivo in movimento poetico, passi formalizzati dalla disciplina ma emancipati dal rigore. Un ritorno a sé, nei luoghi, per restituirsi collettivamente.
God Bless You è il lavoro individuale che Ninarello espone ai Materani. Venti minuti. Spazio scenico allestito per una scenografia minimale, un mucchio di bicchieri disposti a figura irregolare al centro della ‘scena’. In un sito di interesse culturale della città, la terrazza di Palazzo Lanfranchi, polo museale. A cielo aperto. Spettatori attorno. Quegli spettatori verso cui l’artista mendica, personaggio e persona, corpo in disciplina e sregolato, armonioso turbinio di extraordinario, di uscita da sé regolarizzata dalla tecnica.
La personificazione del mendicante quale marginale tramite tra gente e approdo salvifico. Rappresentato (l’approdo) dall’acqua, significante naturale per profonda e simbolica concezione di ricchezza (immaginando la fontana pubblica come recipiente di monete e sogni).
Caratterizzante, l’interazione spontanea con un pubblico reagente alla performance indotto dal soggettivo ‘carico’ culturale. Stranito, meravigliato, affascinato, a seconda di cosa tradizionalmente si assume nell’indagine sull’osservazione artistica.
Un corpo geografia di testo, visione, metafora. Di cui l’utilizzo consapevole, per mezzo di un limpido talento, supera gli argini nell’istintivo della situazione.
Un ritorno complessivo immaginifico e d’evocazione, colmo della reciprocità e il capovolgimento di parti proprio del performativo, per alcuni sicuramente misterioso, ma denso di significato e significanti.
E un conclusivo tuffo, o lancio, o salto, liberatorio, nell’abbondanza. Dopo l’elemosina, la richiesta, l’interpellanza solidale.
Succede a Matera. A Nessuno Resti Fuori festival di teatro, città e persone.
Lontano dagli schermi.